Ribalto domande in voga: “In che modo e con quale peso e, soprattutto, con quale legittimità certe argomentazioni, che divengono sensibilità diffuse e condivise, trovano condizione politica di rappresentanza?” E ancora: “Le condizioni materiali e le rappresentazioni mentali ad esse collegate preesistono al fenomeno politico e in quale modo contribuiscono a crearlo o sono esse stesse un suo sottoprodotto?” “Entrambi i casi”, risponderanno in molti. Sì, certo, ma in quali tempi (rotture storiche)? A quali e in quali condizioni? Con il contributo attivo di chi?
Immagino che vi darete alcune risposte da soli e che non abbiate bisogno del mio contributo esplicativo. Soprattutto se state leggendo questo giornale.
Vi è un’altra domanda, però, che parla in prospettiva. Che ruolo giocano i movimenti nazionalisti all’interno del quadro capitalistico europeo? E in quello bellico?
Alla prima domanda, darei una risposta piuttosto secca: I movimenti nazionalisti non servono nella misura in cui il capitalismo locale, alla pari di tutti gli altri, ha bisogno di accumulare, accorparsi e crescere oltre il dato meramente nazionale (ed europeo). Non parliamo di quello finanziario. Ricette di nazionalizzazione, di uscita dall’euro e via discorrendo sono assolutamente incompatibili non solo con i progetti futuri e futuribili del Gran Capitale come si sarebbe detto il secolo passato, ma anche con il presente e il passato prossimo. Essi giocano, al pari di tutti i populismi storici, una partita vecchia, di retroguardia assoluta e relativa. I padroni lo sanno bene. Anche i paragoni storici sono inopportuni e perlopiù fuorvianti. Non è più tempo di far da argine ai fantasmi del movimento sovversivo. E l’Isis è un pretesto. Non le sue mattanze, tremendamente reali.
Alla seconda domanda, darei una risposta altrettanto secca: I movimenti nazionalisti funzionano come linea di retroguardia nello scontro bellico che attualmente si sta dispiegando a livello mondiale e che ha come epicentri l’Europa stessa, il vicino Oriente, l’Est europeo e l’Africa. Gli attori sono naturalmente più ampi. I movimenti nazionalisti e populisti rappresentano una forma di trincea interna che sostiene e avvalora le politiche repressive necessarie a che il conflitto si disponga pienamente e secondo logiche militari di guerra. Tutto ciò che sedicenti governi democratici stanno avvalorando, sia dal punto di vista legislativo che attraverso pratiche contenitive, avviene all’interno di un conflitto armato. Né più, né meno. I movimenti nazionalisti servono a mobilitare coscienze di guerra, a rendere flessibili i confini del conflitto e, qualora serva, a renderlo pienamente civile. Gli estensori materiali di tale progetto sono, ça va sans dire, le forze democratiche.
Bene, siamo al dunque. Ciò che possiamo domandarci, senza avere alcuna risposta netta a tal proposito è se e come riusciranno a conciliare queste funzioni discordanti. Ciò che è già in atto:
Creazione di grandi coalizioni democratiche di stampo elettoralistico anti- fronte, anti-lega, anti-…
Restrizioni progressive e sostanziali delle libertà civili e democratiche. Incremento degli apparati repressivi e dei finanziamenti destinati alle operazioni militari interne ed esterne.
Assoggettamento del mondo del lavoro al quadro che le compatibilità belliche si stanno dando. Le leggi sulla rappresentanza sindacale, ad esempio, demandano a due funzioni sostanzialmente interrelate:
Controllo sociale della produzione
Esclusività della rappresentanza non elettiva.
Svuotamento dei contratti nazionali di categoria
Trasformazione dell’apparato pubblico secondo criteri produttivi privatistici, apparentemente concorrenziali, e di fatto secondo nuove norme clientelari.
Apparato pubblico soggetto a norme militari
Welfare privatizzato, ad accesso non garantito, con funzioni prevalenti di controllo sociale.
Restrizione della mobilità
Il tutto per via democratica e ispirazione autocratica. E noi?
Pietro Stara